Dal 13 novembre al cinema, il nuovo film di Cédric Klapisch ci riporta a Parigi, ma come non l’abbiamo mai vista.

C’è qualcosa di profondamente intimo — e insieme maestoso — in I colori del tempo (La Venue de l’avenir), il nuovo film di Cédric Klapisch, accolto da applausi a Cannes e campione d’incassi in Francia.
Una storia che gioca con il passato senza essere nostalgica, che abbraccia il presente senza rinunciare all’eleganza visiva. E sì, Suzanne Lindon è semplicemente magnetica: intensa, misurata, sorprendente. Non solo un volto, ma una presenza che resta anche dopo i titoli di coda.

🏛 Una casa, una donna, un secolo

Tutto parte da una misteriosa eredità. Un gruppo di sconosciuti, oggi, viene convocato in una vecchia casa: sono discendenti di Adèle Meunier, una donna della fine dell’Ottocento fuggita dalla Normandia alla ricerca di sua madre. E così, tra foto sbiadite, lettere ingiallite e quadri dimenticati, si riaccende un passato che sembrava sepolto.

Ma Klapisch non fa semplicemente “cinema d’epoca”. La Belle Époque non è lo sfondo: è un personaggio vivo, evocato con cura maniacale per i dettagli — dalle luci calde dell’impressionismo alle silhouette vittoriane — ma sempre a servizio del racconto. Il risultato è un dialogo tra secoli che non suona mai forzato.

🖼 L’eredità emotiva: tra arte, famiglia e identità

Quattro dei protagonisti decidono di ricostruire la vita della loro antenata. Non per dovere, ma per desiderio. Il film è un giallo emotivo, in cui ogni indizio — una firma su un quadro, un indirizzo cancellato — racconta qualcosa non solo su Adèle, ma anche su chi la sta cercando.

I colori del tempo è un film corale, ma non dispersivo. Klapisch sa intrecciare voci, volti, epoche. Parigi si fa specchio di una memoria collettiva e privata: città-museo e città viva, dove il tempo non è una linea, ma un cerchio che continua a chiudersi e riaprirsi.

🌟 Suzanne Lindon, la rivelazione che aspettavamo

Classe 2000, figlia d’arte (ma con personalità propria), Suzanne Lindon si muove tra i due piani temporali del film con una grazia disarmante. È lei il volto di Adèle, in una performance fatta di silenzi, scatti improvvisi e sguardi sospesi.
Non interpreta la storia: la incarna. E lo fa con quella freschezza rara che riesce a essere classica e moderna insieme.

🎞️ Klapisch, la memoria come stile

“Sono sempre stato ossessionato dalla Parigi di fine Ottocento,” ha dichiarato Klapisch. E si vede.
Ma quello che colpisce di più in questo film non è solo la cura estetica, che pure è impeccabile: è la capacità di parlare del tempo come se fosse un sentimento.
Non c’è nostalgia, ma riconoscenza. Non c’è malinconia, ma attenzione. I colori del tempo non ti chiede di piangere: ti chiede di ascoltare. E di ricordare che non si eredita solo ciò che si possiede, ma anche ciò che si scopre.

🍷 Un film da vedere con lentezza (e magari con qualcuno a cui tenete)

I colori del tempo è un’opera elegante, intelligente e calda, perfetta per chi ama il cinema che non urla, ma resta.
Dal 13 novembre al cinema. Portateci qualcuno con cui avete condiviso un ricordo importante. O andate da soli. In ogni caso, uscirete con un pezzetto di Parigi nell’anima.