Diceva Marguerite Yourcenar: i sensi sono servi che girano la macina dell’anima. Il diario di Nina Lugovskaja, pubblicato dalla Sperling&Kupfer, (pp. 482, 2006, euro 9,20) è il passaggio intimo in una vita dove i sentimenti viaggiano in parallelo con la vita reale e crudele. Nina è una ragazzina moscovita che nelle prime pagine di questo diario ha appena tredici anni. Intelligente, emotiva, curiosa, attraversa crisi adolescenziali, nutre grandi ambizioni, è gelosa delle sorelle e ama in segreto. Fin qui niente di diverso dalle mille adolescenti che più o meno tutti conosciamo. Ma Nina è speciale: la profondità e la precisione con cui coglie e valuta gli eventi e il mondo che la circonda. Attraverso di lei sappiamo come si viveva dove le perquisizioni del regime comunista erano all’ordine del giorno, lo spettro del confino o addirittura del Gulag una possibilità più che concreta, la fame, gli stenti, la convivenza forzata una realtà senza appello.  Rinvenuto recentemente negli archivi della polizia segreta russa dalla studiosa Irina Osipova, il testo è un raro documento giunto fino a noi intatto, indenne da intromissioni famigliari o da devastazioni censorie: solo poche pagine di ingenua rabbia portano la sottolineatura rossa del commissario che vide nella fanciulla, ormai diciottenne, una pericolosa amica del regime, e la condannò a cinque anni di lavori forzati: “mentre camminavo sul suolo fangoso e freddo, nella luce umida e fioca di questa giornata autunnale, e battevamo i piedi congelati nelle soste, insultavo fra me e me il potere sovietico con tutte le sue invenzioni, i vanti di cui si pregia di fronte agli stranieri eccetera, e facevo smorfie di disgusto per i canti stonati e disordinati che siamo costretti a fare”. Una libertà intellettuale che è dono di pochi.