L’obesità non è solo una conseguenza obbligata della vita sedentaria e di un’infelice combinazione genetica. All’origine dell’aumento spropositato di peso c’è spesso un malessere generalizzato di tipo psicologico. E per indagarlo può essere necessario risalire all’infanzia, a quel delicato momento di formazione in cui si è più fragili ed esposti alle delusioni, ai complessi, alle carenze. Uno studio condotto dal dottor David Collier, del King’s College di Londra, pubblicato su BMC Medecine, ha dimostrato che i bambini insicuri, con poca stima di sé e con evidenti lacune affettive, hanno maggiori probabilità di sviluppare problemi di obesità già intorno ai diciotto anni. Lo studio è stato effettuato su un campione di 6500 soggetti, monitorati a partire dall’età infantile (anni Settanta) e seguiti costantemente nel loro percorso di crescita psico-fisica. I bimbi più timidi e remissivi si sono rivelati con il tempo adulti problematici, spesso affetti da disturbi alimentari.   La correlazione tra stato mentale e comportamento a tavola è evidente: laddove il lavoro, la vita affettiva e sessuale e, di riflesso, l’autostima scarseggiano, è istintivo ricorrere ad una fonte alternativa di benessere. E il frigo è spesso il primo rifugio dal vuoto esistenziale. Il cervello umano, per funzionare correttamente, ha bisogno di produrre ormoni adrenalici che inducono piacere. I principali laboratori di dopamina sono le relazioni sociali, gli hobby, il successo scolastico e professionale. Per scongiurare il rischio di una dipendenza malsana dalla dispensa è bene quindi lavorare sulla propria quotidianità: aumentare le occasioni di svago, coltivare la propria rete di amicizie, rendersi desiderabili e individuare un campo lavorativo che appaghi le nostre aspettative.