Ammettiamolo non si poteva fare a meno nelle ultime settimane di percepire una certa aria di attesa. Finalmente sabato 21 luglio, tra sera e mattina, milioni di fans si sono riversati nelle librerie alla ricerca di “Harry Potter and the deathly hollows” di JK Rowling (Bloomsbury, 2007, pp. 607, euro 27,50). La preziosa copia è ovviamente in inglese: la sua traduzione in italiano è ufficialmente prevista dalla Adriano Salani Editore, referente per la casa inglese del romanzo, per sabato 5 gennaio 2008.  Nelle prime 24 ore sono state vendute in tutto il mondo undici milioni di copie: un record da capogiro che ignorare è da sciocchi e che merita certamente qualche commento, non troppo complesso. Un percorso di sette libri lungo dieci anni di vita significa che i propri lettori la signora di Edimburgo se li è cresciuti come una mamma amorevole. Con arguzia, questa misconosciuta ma di talento professoressa d’inglese, ha creato un personaggio unico e famigliare. Gli ha cucito addosso una favola per piccini che piace soprattutto ai grandi, raccontando loro delle difficoltà della vita superate con capacità, con lealtà e con l’aiuto degli amici. La sintesi perfetta dei trentenni di oggi: quei ragazzoni un po’ cresciuti che masticano l’inglese, che fanno magie con i loro super computer ma hanno difficoltà a trovare un lavoro serio, a pagare le rate del mutuo e non possono permettersi più di un figlio quando sono fortunati.  La possibilità di crescere ed essere apprezzati per quello che si è. Questo rappresenta Harry Potter. Il resto è solo superfluo marketing pubblicitario. Posso certamente dirvi che il settimo libro della serie racchiude al suo interno tutte le spiegazioni ai tanti interrogativi che negli anni la scrittrice ha intelligentemente disseminato. Posso aggiungere che gli incantesimi di protezione su Privet Drive svaniranno non appena Harry avrà compiuto 17 anni, e che Voldemort e i suoi Mangiamorte cercano un modo per ucciderlo prima che possa trasferirsi in un altro luogo. Oltre non posso andare, tranne ricordarvi che la cicatrice non farà più male d’ora in poi.