A chi immagina di arrivare a New York e trovarsi  in un oceano di luci, magari passeggiando lungo la mitica Broadway costellata di manifesti accattivanti mentre la voce di Frank Sinatra accompagna i nostri passi, a costoro diciamo… che è proprio così. New York è una città che non tradisce le aspettative dei suoi visitatori: è esattamente come viene immaginata. Ancora più sorprendente per noi europei, abituati a convivere con la storia. Quando arriviamo nella Grande Mela è pomeriggio inoltrato, un momento pieno di vita, quando Manhattan si popola di gente di tutti i tipi, di varie etnie, per essere coinvolti in questo brulicare ininterrotto. La prima tappa è Times Square, cuore pulsante della città e della vita dei newyorkesi. Da qui, infatti, si diramano le vie più famose dello shopping e sempre qui ci sono i ristoranti più famosi, quasi tutti italiani, messicani o orientali a dire il vero. Ma ciò per cui si rimane impressionati è l’altezza dei grattacieli e la grandezza delle pubblicità animate proiettate su schermi grandi come pareti di case. Ma ci saranno, poi, le case a Manhattan? Questa è una domanda che ci siamo posti fin dal primo momento del nostro arrivo. Un’incredibile quantità di uffici e hotels e nessuna casa. Per trovarne bisogna spostarsi nella zona up dell’isola, quella vicina Central Park. Allora si possono vedere le tipiche abitazioni strette e lunghe con tanto di scalini all’entrata. Ma questa non è l’unica differenza  tra le due parti della penisola: Manhattan up e Manhattan down sono molto differenti non solo dal punto di vista urbanistico, ma anche per ciò che sono in grado di offrire. Se nella prima si trovano il museo del Gughenheim, il Metropolitan e il Momà, nella seconda c’è il Rokfeller center, la Borsa, Tower Trump. Uno scontro anacronistico tra due metà di un insieme, che proprio per questo diventa unico e irripetibile.La costante che caratterizza la città è il suo popolo. Ovunque ci sono persone amichevoli e gentili, sempre disposti ad aiutare. Un newyorkese non può vedere un turista con una cartina in mano senza provare l’impulso irrefrenabile di avvicinarsi e chiedergli “Can I help you?”. Alcuni, addirittura, elargiscono  consigli su dove poter andare a pranzare in base ai nostri gusti: “Do you like chineese cooking? or italian maybe?”. I ragazzi si avvicinano per farci i complimenti su una borsa piuttosto che su un paio di occhiali da sole, e chiacchierano con noi come se ci conoscessero da sempre. Non vi è dubbio che la carta vincente della Grande Mela sono proprio i newyorkesi.Facciamo una puntatina al quartiere di Brooklin. Purtroppo non è possibile attraversare il famoso ponte, in quanto vietato ai pullman, ma lo si può ammirare dal Manhattan Bridge: emozionante. Un po’ deludente il quartiere in sé, forse perchè siamo ancora stupefatti per l’incredibile sfarzo delle luci e dei colori che si trovano dall’altra parte dell’East River. L’unica ferita, l’unico momento in cui Manhattan ha aperto il suo cuore, è la  visita al Ground Zero. A distanza di anni, è ancora forte il dolore che si percepisce in quel punto, quasi un’altra dimensione, lontana dai carnevalismi della città. Prima di ripartire, vogliamo sperimentare la tipica cucina americana e andiamo in uno dei pochi posti che conserva ancora la sua “americanità”. Il ristorante si chiama Bar-b-que e pare sia stato insignito dell’ambito premio “Le costolette più buone del mondo”: può esserci qualcosa di più tipico? E dobbiamo ammettere che il premio è  veramente meritato.
 Siamo arrivati a New York con il sole e  andiamo via con la tempesta: anche il tempo ha giocato la sua parte nel crogiolo di contraddizioni che è New York. Ma, forse, questo è il suo fascino: chiunque tu sia, qualunque cosa tu faccia, che tu ami la pioggia o il sole, New York è il tuo posto.