Ciò che conta sono i battiti del cuore: se la frequenza del battito cardiaco supera i 70 battiti, aumenta il rischio di infarto e di malattie coronariche per le persone sane, ma soprattutto per i cardiopatici. Così come se si superano i valori di 140-90 per la pressione arteriosa o i 200 mg di colesterolo. Lo rivela uno studio pubblicato sul ‘Lancet’ e presentato oggi al Congresso della Società Europea di Cardiologia in corso a Monaco fino al 3 settembre.Lo studio è iniziato nel 2004 e ha coinvolto 10.917 pazienti con malattia coronarica in 781 centri di 33 Paesi dei 4 Continenti. A coordinare la ricerca il dott. Roberto Ferrari, direttore della clinica cardiologica dell’Università di Ferrara.«Per quattro anni abbiamo studiato l’efficacia dell’ivabradina, una molecola studiata appositamente ed esclusivamente per abbassare la frequenza cardiaca – spiega Ferrari – ed abbiamo dimostrato che tenere la frequenza sotto i 70 battiti al minuto con ivabradina riduce del 36% il rischio di infarto e di ben il 30% il rischio di un intervento alle coronarie in pazienti cardiopatici. Una vera e propria rivoluzione nella lotta alle malattie cardiovascolari che vede il nostro Paese all’avanguardia». Una scoperta “made in Italy” che pone il nostro Paese all’avanguardia.Ma i cardiologi hanno raccomandato, prima di ogni cosa, l’intervento su tutti i fattori di rischio, mettendo sotto accusa gli stili di vita sbagliati. Solo in Italia, infatti, sono 4 milioni le persone che hanno problemi alla coronarie e, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, le malattie coronariche resteranno fino al 2030 il principale problema sanitario al mondo.