Non aveva cercato un atelier. Aveva cercato un posto dove non essere vista. Claudia, giornalista freelance di Torino, si era convinta che la distanza potesse bastare per smettere di pensare. Aveva bisogno di un posto temporaneo, e lo scambio casa sembrava il modo più elegante per andarsene senza dichiararlo a nessuno. Lisbona era apparsa sulla piattaforma quasi per caso: “Ex atelier in zona Graça. Luce naturale, silenzio creativo. Lasciate tutto com’era.”
L’appartamento era al secondo piano di un edificio stanco, con scale che profumavano di carta umida. Dentro, pareti bianche macchiate da schizzi di colore, barattoli chiusi con nastro adesivo, un letto pieghevole, un tavolo in legno con sopra un’unica tazza sbeccata. Non c’erano specchi, solo tele appoggiate ai muri. Alcune finite. Altre no. Una, appesa sopra la finestra, raffigurava una donna seduta. Claudia ci mise giorni a rendersi conto che le assomigliava. Troppo.
Passò la prima settimana a leggere, scrivere, cucinare riso con fagioli e ascoltare i tram passare. Ma ogni sera tornava a guardare quel dipinto. Sul retro della tela trovò una data: 11 ottobre 1996. E una firma: “Madalena.” Iniziò a cercare nei cassetti, nelle scatole. Trovò biglietti, appunti, una lista in portoghese: “Não pintar para lembrar. Pintar para esquecer.”
Una sera, aprendo un armadio, trovò un album con foto non sue. Ritratti, volti seri, sorrisi rubati in cucine disordinate. Claudia non conosceva nessuno, ma alcune immagini la inquietavano. Una, in particolare, la ritraeva seduta davanti alla stessa finestra dell’appartamento, solo trent’anni prima. Non era lei. Ma avrebbe potuto esserlo.
Cominciò a scrivere a Madalena. Lettere che non spediva. A volte lasciava una accanto alla tela. A volte ne leggeva una ad alta voce, nella stanza vuota. Nessuna risposta, ovviamente. Ma una mattina, trovò la tazza spostata. Solo di qualche centimetro. E un tubo di tempera blu appoggiato sul tavolo. Nessun segno di intrusioni.
Quando lasciò la casa, Claudia scrisse l’ultima lettera:
“Ho capito. Alcune case non vogliono essere raccontate. Vogliono solo che qualcuno le guardi.”
Lasciò la lettera piegata dentro l’album di foto. Poi chiuse la porta piano. Per non disturbare l’ombra.
