La terza rivoluzione di Niccolò Ammaniti. Dopo aver reinventato i generi prima con “Ti prendo e ti porto via” e poi con “Io non ho paura”, adesso  rinnova i romanzi distopici con “Anna”. E a “Io donna” racconta la genesi del suo nuovo bestseller. Partendo dall’ossessione per la morte: «Da bambino, a carnevale, chiedevo a mia madre di mascherarmi da morto. Lei mi domandava: come ci si veste da morto? E io: che ne so. Alla fine mi metteva delle giacchette. Poi arrivavo alla festa, mi mettevo da una parte e incrociavo le braccia».

E confessa: «Da adolescente immaginavo come sarei stato da grande: incapace di vivere come gli altri. Forse per l’educazione che ho ricevuto. Non mi è mai successo che i miei dicessero: “Sto ragazzino sembra tanto bravo, così sveglio, lo mando a scuola di calcio”». E ancora: «Le cose più avventurose non le vivo, ma le faccio capitare nei libri. La scrittura è una vita in prestito, vivi e ti ecciti per qualcosa che non vivi. So che è tristissimo, ma è la condizione richiesta per scrivere, almeno per me».