Ci sono tanti modi per raccontare di esperienze dolorose, di rabbia, di crescita emotiva e non tutti sono capaci di toccare le corde giuste senza scadere nel banale, o peggio, nella noia: in “Il colore della neve”, (Corbaccio, pp.416, euro 18,60), Jodi Picoult è maestra, “quasi chiaroveggente” come la definisce il Washington Post, capace di immergersi nei più scottanti argomenti dell’attualità costringendoci a riflettere sul giusto e sull’ingiusto.

La storia racconta di un padre e di una figlia, legati da un disperato bisogno di crescere, anche affrontando terribili situazioni, insieme, perchè così si fa tra chi si vuole bene. Trixie Stone, la figlia, ha quattordici anni ed è innamorata: da brava studentessa è una ragazzina con molti amici ed è adorata dai genitori. Dal suo canto, Daniel Stone da quattordici anni è un padre modello, un uomo mite e garbato, un apprezzato disegnatore di fumetti ma molti anni prima era diverso: cresciuto in un villaggio in Alaska e mai accettato dalla popolazione locale per il colore della sua pelle, era solo un ragazzo violento, pericoloso per sé e per gli altri.

Oggi, quella rabbia e quelle pulsioni che da tempo riusciva a nascondere perfino a sè stesso riesplodono di fronte al racconto della figlia, alla storia di un amore che si trasforma in uno stupro, all’impotenza di un padre che la figlia credeva un eroe capace di proteggerla da tutto e da tutti: “quando ti rendi conto che tua figlia è scomparsa, subito senti un blocco alla bocca dello stomaco, il gelo ti pervade, le gambe ti diventano di gelatina”. E solo allora scoprire improvvisamente che la vita non è come nelle storie a fumetti, una lotta eroica per far trionfare il bene sul male, piuttosto che una fatica quotidiana per non farsi sovrastare da forze al di fuori del nostro controllo.