Definirlo documentario è un po’ riduttivo. “Il diamante bianco” di Werner Herzog è poesia sia per l’anima che per gli occhi. Il sessantenne regista tedesco dopo aver prodotto, scritto e diretto più di quaranta film, scritto dodici libri e diretto svariate opere liriche, riesce ancora a farci sognare ad occhi aperti. Questa volta protagonista e spunto di esistenziali riflessioni del documentario è un moderno dirigibile che ricorda un diamante bianco. Ideatore della rivoluzionaria macchina l’ingegnere aeronautico Graham Dorrington, che dopo anni di ricerca e lavoro, decide di raggiungere le cascate del Kaieteur nel cuore della Guyana. Lì potrà mettere alla prova la sua “creatura” cercando di sorvolare le cime degli alberi ed esplorare dall’alto l’incontaminata foresta pluviale. Ma a pesare come un macigno sulla leggera anima dell’ingegnere è la tragica scomparsa, davanti ai suoi occhi, del suo amico regista Dieter Plage durante una spedizione simile a quella che sta per compiere. La potenza delle cascate e il mistero che celano sono sinonimo della vita che scorre. Immagini oniriche di fauna e flora fanno da contorno ad un’avventura sulla determinazione e la forza d’animo. Ad accompagnarci nel viaggio le sonorità che sembrano provenire da tempi remoti affidate ai tenores di Orosei. Con disarmante leggerezza i vari protagonisti discutono della vita, della morte ma soprattutto dell’uomo. Magnifica la scena dei rondoni in picchiata si tuffano nell’ignoto celato alla vista dell’uomo dalle gigantesche cascate. Un vortice che sembra attrarci dentro lo schermo. Impedibile!