Ecco i romanzi che abbiamo scelto per voi. Portateli in vacanza, al mare, in montagna, in campagna…E ovunque andiate.

Alexander Lernet-Holenia
Il conte Luna
Adelphi

Un giorno di maggio – siamo nei primi anni Cinquanta – Alexander Jessiersky, facol­toso imprenditore austriaco, entra nella chiesa romana di Sant’Urbano e, munito di un’antica mappa, si inoltra nelle cata­combe di Pretestato, dove qualche tempo prima sono spariti due sacerdoti francesi. Al custode spiega, in un italiano stentato, che è deciso a ritrovarli. Anche lui, tuttavia, scomparirà nelle viscere di Roma senza la­sciare traccia. Ma qual è il vero motivo che ha indotto Jessiersky a calarsi nelle catacom­be? Un enigma sul quale occorre indagare, tanto più che il nome di Jessiersky – aristocratica famiglia di origine polacca dalla re­putazione non proprio specchiata – sem­bra connesso con certi «avvenimenti straor­dinari» che in Austria hanno suscitato scal­pore, richiamando l’attenzione della poli­zia locale. È solo l’inizio di questo roman­zo, ma Lernet-­Holenia ci ha già catturato, trascinandoci con timbro leggero nel vorti­ce di uno dei suoi intrecci più audaci, tra black comedy e giallo metafisico, tra miste­riosi delitti e fosche ombre del passato – mentre su tutto aleggia lo spettro del conte Luna, oscuro motore dell’intera vicenda. Fino al vertiginoso, indimenticabile finale, in quel regno intermedio tra verosimiglian­za e irrealtà che di Lernet-­Holenia è il terri­torio d’elezione.

Georges Simenon
Turista da banane
Adelphi

«Trova che sia vita, quella che fa qui?».
«E lei trova che sia vita quella che fate voi a Papeete, al Relais des Méridiens?».
C’era del rancore nelle sue parole.
«E perché no?».
«…L’aperitivo, le ragazze, le camere sporche, la sie­sta, poi ancora l’aperitivo…».
«E qui?».
«Vivo con la natura».
«E che cosa le fa, la natura? La riempie di pustole, le dà le coliche! Non mi venga a parlare della na­tura! No, sono chiacchiere che vanno bene a Pari­gi, non qui dove ne vediamo passare a centinaia, di tipi come lei! La natura va bene alla domenica, o per un picnic come questo…».
«Qui sono felice» disse Donadieu voltando la te­sta dall’altra parte.

François Boyer
Giochi proibiti
Adelphi

Nel luglio del 1947 giunge nelle librerie francesi come un meteorite una sorprendente opera prima, del tutto estranea — benché a farle da sfondo sia l’invasione nazista — ai canoni imperanti della littérature de guerre di quegli anni. In Giochi proibiti, infatti, il conflitto vive unicamente nei gesti selvatici e scontrosi, negli impenetrabili occhi grigi di una bambina di nove anni, Paulette, cui le incursioni aeree hanno strappato padre e madre. E nella incantevole grazia, nel berretto nero calcato sulle orecchie, nelle rabbiose collere subito sciolte in pianto di Michel, il suo compagno di giochi. Giochi attraverso i quali Paulette e Michel, abbandonati a sé stessi da adulti inebetiti dal lavoro nei campi, ottusi e violenti, da grotteschi uomini di fede, affrontano insieme l’immane compito di farsi una ragione del Male e di elaborare il lutto della loro infanzia. Ignorato dalla critica e dai lettori e poi scavalcato dal successo della trasposizione filmica di René Clément, questo romanzo, che narra con misura perfetta l’iniziazione alla vita e alla morte di due bambini investiti dalla furia della guerra, si impone oggi più che mai per l’audacia di Boyer, per il suo sguardo insieme feroce e compassionevole – e per il radicale rovesciamento di prospettiva che suggerisce.

Leonora Carrington
Il cornetto acustico
Adelphi

«La signora Leatherby, protagonista e narratore del Cornetto acustico, partecipa con delicata equanimità della follia e della buona educazione; per di più ha novantanove anni, età numericamente significante, ed è detestata dai nipoti, che la considerano un in­gombrante vegetale, qualcosa che dovrebbe essere “morto”, e che sbaglia gravemente a non esserlo; i ni­poti, dico, vogliono mandarla in un istituto per signo­re anziane; e accade che l’istituto si chiami la Confra­ternita del Pozzo di Luce, e abbia molti curiosi conno­tati … il racconto si dipana con la grazia di un’operet­ta, la deliziosa irresponsabilità di una conversazione assistita da un interminabile tè pomeridiano, nottur­no, aurorale, uno degli infiniti tè di Alice. Scricchiola­no ogni tanto battute selvatiche, ma così ragionevo­li: “I vecchi non fanno che morire”; “Che sollievo che non si debba veramente prendersi la briga del proprio funerale” … C’è anche un delitto, compiuto con fon­dants ripieni di veleno per topi, probabilmente quel veleno “Ultima cena” che non concede scampo; ma il delitto sbaglia destinatario e… Non vi dirò tutto … Dunque, un libro assolutamente delizioso, se appena avete inclinazione ai disordini ben regolati dell’intel­ligenza, se vi diverte una conversazione illimitata e ap­parentemente senza lacune».(Giorgio Manganelli)

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