Dopo il successo alla Semaine de la Critique dello scorso Festival di Cannes, arriva nelle sale italiane la commedia di Asaph Polonsky che racconta il ritorno alla vita di Eyal e Vicky, una coppia che dopo la riturale settimana di lutto della tradizione ebraica deve trovare la forza di andare avanti. Chi cercherà di farlo riprendendo la routine quotidiana e chi… “sballandosi” con il figlio degli odiosi vicini di casa, stringendo con lui un rapporto unico e sorprendente. Un film divertente e commovente sul diritto e il dovere di ricominciare.

INTERVISTA AL REGISTA E SCENEGGIATORE Asaph Polonsky

Ci può spiegare in cosa consiste la tradizione ebraica della “Shiv’ah”?
È la settimana di osservanza del lutto che ha inizio immediatamente dopo il funerale e si svolge nella casa del defunto oppure nella residenza dei suoi famigliari più stretti. I parenti e gli amici si ritrovano per sostenere ed assistere la famiglia del defunto nel periodo del lutto stretto. La Shiv’ah si conclude dopo la funzione del mattino del settimo giorno. Nel corso della seduta di Shiv’ah i congiunti in lutto non lavorano e trascorrono gran parte del tempo in casa.

Perché ha scelto di trattare questo tema in chiave di commedia?
A mio parere l’unico modo per raccontare la tragica storia di un padre che ha perso un figlio e che fa solo quello di cui ha voglia e di sua moglie che cerca di gestirlo dovendo contemporaneamente capire lei stessa cosa fare era di sottolineare l’assurdità della situazione, adottando un approccio diverso che permettesse all’ironia delle interazioni umane di emergere e accendere una luce in un racconto cupo.
Altrimenti, per dirla in parole povere: mi piace ridere e piangere, quindi ho cercato di mettere insieme tutte e due le cose.

Era importante ambientare il film in Israele?
Per certi versi è una vicenda che potrebbe aver luogo ovunque nel mondo, due genitori perdono un figlio e devono farsene una ragione. Tuttavia, quello che rende il film israeliano sono i piccoli dettagli e il comportamento dei personaggi. Inoltre, la tradizione della Shiv’ah è radicata nella comunità ebraica di Israele e consente una nuova prospettiva sul periodo del lutto. Per quanto sia un rituale affascinante, a me interessava soprattutto esplorare quello che accade quando si conclude. Trovo che la tradizione della Shiv’ah sia estremamente utile, ma ad un certo punto finisce ed è in quel momento che volevo iniziare il film, quando la realtà prende il sopravvento.

Il film ruota attorno al personaggio di Eyal. Mentre scriveva la sceneggiatura aveva già in mente l’attore che lo avrebbe interpretato?
No. Shai Avivi, che incarna il ruolo di Eyal, è un attore molto conosciuto in Israele, ma non pensavo a lui mentre scrivevo. Però, dopo averlo incontrato e dopo aver assistito al suo provino, mi sono reso conto che coglieva sino in fondo l’essenza del personaggio come io lo avevo immaginato e soprattutto dava vita a dettagli che solo lui era in grado di percepire e che non avrebbero potuto essere pianificati a monte.

Può raccontarci qualcosa di più del cast e del motivo per cui ha scelto questi attori per i personaggi? Avevano molta esperienza in ruoli comici?
Shai, che interpreta Eyal, è conosciuto in Israele come attore comico. Ha collaborato a molti programmi televisivi in chiave di commedia e anche gran parte dei personaggi che ha incarnato sul grande schermo sono comici. Inoltre, prende parte a spettacoli di cabaret. Invece Evgenia, che nel film è Vicky, è famosa per i ruoli seri che ha interpretato, soprattutto in teatro, ma anche nel cinema e in televisione.

È stato proprio il contrasto tra i due a dar vita a gran parte dell’umorismo. Sono rimasto esterrefatto nel vedere la chimica che scaturiva tra loro durante le letture. Non si erano mai incontrati prima, ma fin dal primo istante hanno avuto la sensazione di conoscersi da sempre e possedevano l’alchimia di una coppia di coniugi.

Con ciascuno di loro ho avuto un lungo incontro durante il quale mi hanno fatto tutte le domande che avevano. In aggiunta a questo, ci siamo visti alcune volte per fare quattro chiacchiere, mangiare insieme e fare in modo che fossero reciprocamente a loro agio. Era questa la cosa più importante: permettere ai due attori principali di trascorrere del tempo uno con l’altra. Con l’approssimarsi dell’inizio delle riprese, li ho fatti uscire insieme: sono andati a visitare un museo e a pranzo in un ristorante.

Il loro modo di avvicinare il materiale e di lavorare era talmente diverso che non ho voluto in alcun modo intervenire, ma al contrario l’ho sfruttato come punto di forza nella loro dinamica.
Tomer, che interpreta Zooler, aveva interpretato ruoli essenzialmente drammatici e dinamici e non aveva esperienza di commedia. In vista delle riprese del film ha preso peso e ha accantonato il suo aspetto prestante e muscoloso da eroe di un film d’azione.
Tomer teneva un “taccuino di Zooler”, pieno di pensieri e disegni del suo personaggio. Quando abbiamo iniziato a girare, si è strettamente attenuto alla ‘filosofia di Zooler’ e ha continuato a indossare la stessa biancheria intima durante tutte le riprese…
Il modo in cui gli attori e io abbiamo affrontato l’aspetto comico del film è stato quello di non affrontarlo. Gli attori non erano concentrati sul fatto di far ridere, ma semplicemente sul fatto di essere autentici e presenti nella realtà del momento.
A posteriori mi domando se fossero consapevoli di essere in una commedia…

UNA SETTIMANA E UN GIORNO
un film di
ASAPH POLONSKY

con
ShAI AvIvI
EvGEnIA DODInA
TOmER KAPOn

uscita
11 maggio 2017