Dal 28 settembre il MAXXI presenta insieme a Deutsche Bank la prima mostra personale in Italia e in Europa di Caline Aoun, vincitrice del premio Deutsche Bank’s Artist of the Year 2018/2019.
La mostra seeing is believing, a cura di Britta Färber, capo curatrice del dipartimento Art, Culture & Sports di Deutsche Bank e Anne Palopoli curatrice del MAXXI, presenta quattro nuove produzioni, tra cui due grandi installazioni ambientali della giovane artista libanese (Beirut, 1983), vincitrice del riconoscimento che ogni anno Deutsche Bank dedica ad artisti emergenti o a metà carriera che si sono distinti per creatività e valore significativo del proprio lavoro.
La mostra si inserisce nell’ambito di Expanding The Horizon, programma del MAXXI dedicato allo sviluppo di collaborazioni internazionali tra il museo, altre istituzioni culturali e collezioni private.
Il lavoro di Caline Aoun nasce da un alternarsi di astratto e concreto, fisico e digitale, ed esplora concetti difficili da raffigurare. L’artista, che vive e lavora tra Beirut e Londra, ha la capacità di trasformare ciò che è invisibile e immateriale in immagini, installazioni, video.
Tratto distintivo della mostra, pensata appositamente per gli spazi della Galleria Gian Ferrari del MAXXI, è proprio questo alternarsi di un’anima astratta, che si esprime attraverso opere che suggeriscono l’idea della transitorietà, del movimento, della trasformazione ciclica della realtà, e di un’anima concreta legata alla fisicità degli ambienti del museo coinvolti e trasformati dall’intervento dell’artista.
seeing is believing vuole stimolare una riflessione sulla nostra vita, in un mondo in costante movimento, attraversato da flussi materiali e immateriali di accumulo e di dispersione, di cose, persone, informazioni, immagini.
Il pensiero di Aoun si concentra su come l’evoluzione della tecnologia digitale abbia alterato la percezione delle informazioni: per questo alcune sue opere prendono vita da un accurato studio sulla loro circolazione nell’era di Internet e dei social network. L’artista contrasta l’idea che l’informazione sia priva di consistenza e fisicità, dunque svolge una ricerca sulla materialità dei dati.

Il percorso di mostra si apre con la grande installazione ambientale Contemplating dispersions, 536 ml (2018) in cui l’artista ricopre i muri della sala con fogli di carta di riso. Il colore di cui sono intrisi digrada progressivamente fino a scomparire: si tratta di un processo di stampa nel quale l’inchiostro si esaurisce creando un passaggio che va dal nero più intenso fino alla totale assenza di colore. L’immagine satura di colori, quindi illeggibile, si scompone progressivamente in una sequenza di linee fino a scomparire del tutto. Una riflessione sul tema dello sfinimento dell’immagine, ma anche sull’eccesso, la dissipazione, l’evanescenza, che Aoun riesce a rendere visibili.

Parte di Contemplating dispersions, 536 ml è anche una parete divisoria composta unicamente da fogli di carta così leggera da muoversi al passaggio dei visitatori, su cui l’artista proietta una ripresa live del mare del Libano. La telecamera puntata verso il fondale riprende l’area in cui passano i cavi della rete di telecomunicazione, dove viaggiano i velocissimi dati di Internet. Evidenziando semplicemente il tragitto di questi dati, ancora una volta l’artista riesce a rendere visibile ciò che è invisibile e a sottolineare la fisicità della circolazione di notizie e immagini, il loro peso materiale.

Al centro della galleria si trova Fountain, The ripples on the surface of duration (2018), una fontana da cui zampilla il residuo dell’inchiostro del processo di stampa, un gesto di rinnovo, rigenerazione e ciclicità. Il suono prodotto dal gocciolio dell’inchiostro è per l’artista un diretto rimando a come i dati costituiscano un costante rumore di fondo intorno a noi.

La seconda parte della mostra è composta da Heavy duration, brief glance (2018) un’altra installazione ambientale in cui l’artista, che spesso fa degli spazi l’oggetto principale del suo lavoro, ricopre le pareti del museo con un composto simile a cartapesta, il cui risultato rimanda al cemento grezzo. Con quest’opera, Aoun trasforma il museo in una grotta, una illusione materiale in cui il visitatore si trova immerso, una realtà tattile che lo porta a interagire con la fisicità dell’ambiente. E la stessa interazione dei visitatori porterà lo spazio a trasformarsi e a dissiparsi, in quella continua ciclicità che costituisce per l’artista la caratteristica prima della realtà.
Completa l’esposizione l’opera Untitled (2018), realizzata con la tecnica del papier-maché, grazie alla quale l’artista riproduce su carta materiali differenti.

Nata a Beirut nel 1983, Caline Aoun fa parte di una generazione di giovani artisti libanesi cresciuti all’estero dopo la guerra civile scoppiata nel 1975, che hanno completato la propria formazione artistica fuori dal Libano. Ha studiato alla Central Saint Martins School of Art and Design e alla Royal Academy Schools di Londra prima di completare il dottorato in belle arti all’Università di East London nel 2012.