Posizionato nel cuore della Parigi della cultura e nei pressi di alcune mete turistiche imprescindibili – a pochi minuti dalla Sorbona, dal Centro Pompidou, e dalla Tour Eiffel – il museo del Quai Branly è diventato una dei punti focali di quel rinnovamento urbano che proietterà Parigi nel XXI secolo. L’edificio – caratterizzato dall’uso di materiali leggeri e da grandi superfici vetrate, occupa uno dei punti più scenografici della Rive Gauche ed è destinato ad ospitare oggetti e reperti provenienti da Africa, Asia, Oceania ed Americhe.  Nell’offerta immensa della Ville Lumiere vanno così ad occupare un posto privilegiato anche le arti “non occidentali”, con cui la Francia ha flirtato appassionatamente a partire dall’800, influenzando le avanguardie storiche e gran parte dei movimenti culturali che si sono sviluppati nel ‘900.  I primi ad interessarsi in maniera approfondita a ciò che veniva prodotto fuori dal vecchio continente furono gli Impressionisti, i quali compresero come le opere di grafica, pittura ed arredamento provenienti da Cina, Giappone e Corea fossero manifestazioni di civiltà con alle spalle una tradizione storico/artistica vecchia di millenni e non semplici ninnoli, infrangendo il tabù dell’eurocentrismo. Dopo l’esperienza di Gauguin e della sua fuga in Polinesia, furono gli animatori del cubismo e del fauvismo a diffondere il gusto per il collezionismo esotico (soprattutto per gli oggetti provenienti dall’Africa, dai Carabi e dal Sud America) e ad aprire la strada agli studi antropologici di Claude Levi-Strauss, una delle chiavi di volta nello sviluppo del pensiero contemporaneo.