Già nel 1995 la galleria di piazzetta San Nicolò aveva presentato un’interessante personale sull’artista e ora, a distanza di 10 anni, ne ripropone l’universo sfaccettato e a tratti paradossale, sospeso tra provocazione e superficialità.
La mostra Andy Warhol. The Bomb, a cura di Gianluca Ranzi e Doris Von Drathen, propone un’accurata selezione di trenta opere, rigorosamente autenticate dalla Fondazione Andy Warhol, tra serigrafie e ritratti, oltre ai celebri film underground. Il percorso ripercorre i momenti salienti dell’intero arco dell’attività artistica di Warhol, dagli anni sessanta fino agli anni ottanta.
Icona per eccellenza dei tempi moderni, Warhol è l’esponente più efficace di una dilagante e alquanto sfacciata immagine della cultura di massa, plagiata dal simbolo del dollaro, corrosa dai detersivi in scatola, che mastica slangs e zuppe preparate, tassativamente combinati al frizzante gusto della Coca-Cola, o ancora, colta mentre si stupisce per l’ennesima vittima dei crash automobilistici piuttosto che della guerra, o ripresa nel trasalimento di fronte alla pena di morte.
A tal proposito compaiono le note opere serigrafiche, celebri “icone da supermarket”, evocative delle manovre strategiche presenti nei temi pubblicitari di successo, come Campbell’s soup can shopping bag (tecnica mista), Velvet underground (serigrafia, pochette del disco Andy Warhol’s Velvet Underground feauturing Nico) o il feticcio americano per eccellenza, il celebre Dollar Bill (serigrafia su tela), geroglifico contemporaneo del very politically correct.
La genialità intuitiva di Warhol è stata quella di costruire in maniera abilmente attenta una nuova identità attorno al concetto di artista, da intendersi quale macchina di produzione seriale, che ripete all’infinito tale operazione, senza poi chiedersene il motivo. In merito risuona calzante una sua questione: “non è forse la vita una serie di immagini che cambiano solo nel modo di ripetersi?”. E ancora: “la ripetizione aumenta la reputazione”.
Dalla prima serie di scatolette Campbell all’adozione della serigrafia, il passo è stato davvero breve, intercalato dall’ulteriore riflessione (ironica) sul ruolo della creatività nell’era della sua riproducibilità tecnica. Su suggerimento del suo assistente, egli adotta tale tecnica dopo svariati tentativi di “meccanizzazione” del suo modo di operare (mediante l’utilizzo di proiettori, timbri in gomma o legno, ecc). I primi dipinti serigrafati appartengono alla serie in cui l’artista utilizza la stampa per moltiplicare all’infinito un’immagine di partenza, disegnata a mano. Prendendo spunto da un’invenzione “molto americana” e decisamente “popular”, ricondotta nell’ambito “alto” dell’arte, Warhol elabora in maniera sapientemente sottile una riflessione dirompente sui concetti di copia e di originale, opponendo l’omologazione alla necessaria espressività, la ripetizione all’unicità progettuale. Adottando una processualità “da catena di montaggio” (che gli consentiva di fare un quadro in quattro minuti), stimola d’altra parte il gioco con l’imprevisto, l’incidente di percorso e l'”errore” che vanifica la riproducibilità, rendendo le sue immagini seriali sempre diverse l’una dall’altra, paradossalmente originali.
A essi si aggiunge un pezzo di singolare spessore: un’inedita scultura del 1967, l’unica di grande formato realizzata dall’artista, dal titolo Bomb (modello di bomba dipinto a spray), pubblicata nel catalogo generale Andy Warhol. Paintings and Sculptures, 1964-1969, esempio calzante della viscerale vena pop associata al tridimensionale. L’opera cela un curioso aneddoto, in quanto doveva essere offerta come premio per un concorso sponsorizzato dalla rivista New York Magazine, successivamente pubblicato da The New York World- Journal Tribune. Il 22 gennaio 1967 in un articolo intitolato “Come with me bomb”, Ralph Schoenstein invitava i suoi lettori a partecipare al concorso per progettare una bomba ad acqua in questi termini: “Celebriamo la fine della carenza idrica ritornando al più divertente tra tutti i giocattoli di guerra, l’unico che un uomo pacifico possa vedere cadere su Hanoi, dato che mai i civili di Ho potranno essere feriti da una doccia”. Ai lettori veniva dunque offerto come primo premio una bomba U.S. Air Force, decorata personalmente da Andy Warhol. A testimoniare l’occasione, una vivace fotografia che vede l’artista abbracciare orgogliosamente il suo argenteo manufatto, pubblicata assieme all’articolo di Schoenstein.

La mostra propone inoltre una deliziosa galleria di ritratti celebri, stile copertina di Vogue, come Enzo Cucchi, Karen Kain, Rauschenbusch, Jean Paul Barbier, Joan Collins, Mildred Scheel, Karen Lerner, Natalie Sparber, Carlo e Diana. Si tratta dei volti celebri di quella New York mondana generatrice dell’arte pop, con tutto il relativo jet set fatto di moda, feste, frequentazioni, apparizioni. Erano i committenti stessi a fornire a Warhol le fotografie dalle quali veniva fatto il ritratto e l’intervento dell’artista veniva quindi ridotto il più possibile, come ebbe a dire Warhol stesso: “il massimo del prodotto col minimo di soggettività”. Questa qualità astratta dell’immagine che rinuncia all’approfondimento psicologico è evidente nella frontalità perentoria del ritratto di Paul Barbier, nell’eleganza raffreddata di quello di Karen Kain, o nella sottigliezza della linea che disegna il volto di Jack Bellini. Altra opera di rilievo è Joseph Beuys in memoriam: uno stimolo al confronto frontale tra i due artisti, che offre un’efficace chiave di lettura per comprendere la base ideologica che attraversa l’arte del secondo dopoguerra e le differenze che in questo periodo intercorrono tra arte americana e arte europea. Se l’uno incarna infatti la fiducia nel successo americano, Beuys palesa la crisi di coscienza che accompagna l’intellettuale europeo, derivante dal peso di una tradizione ingombrante a vantaggio del sogno americano.
Oltre al dato propriamente artistico, Warhol ha anticipato in maniera clamorosamente veloce il sistema della realtà mediatica attuale, in cui la vita diviene fiction e viceversa, che oggigiorno si fa evidenza alla luce della società dei reality e del mito dell’apparizione-tv, e che l’artista seppe rivelare mezzo secolo prima, fino a dimostrare la possibilità della costruzione di un nuovo sistema di potere basato sull’abuso della visibilità.
Alle opere in mostra infatti si aggiunge la proiezione dei suoi memorabili film underground, I a Man, My Hustler, Blow Job, Empire, Kiss, Mario Banana, The Chelsea Girl, Lonesome Cowboys, Nude restaurant, Vinyl, Vinyl / the velvet underground & Nico.


Andy Warhol. The bomb
Dal 12 ottobre al 27 gennaio 2007
Orario: lunedì dalle 15.30 alle 19.30 dal martedì al venerdì dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 19.30, sabato dalle 9.30 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 19.30
ingresso libero – chiuso domenica
Vecchiato New Art Galleries
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